giovedì 9 dicembre 2010

Il silenzio è d'oro?

In seguito alla discussione che si è aperta fra i firmatari del messaggio sulle votazioni di Modena, preceduti dalle osservazioni di Ugo Petronio, e il presidente uscente della Società di Storia del Diritto, Antonio Padoa Schioppa, due o tre colleghi hanno inviato messaggi che hanno circolato più o meno ampiamente.
Purtroppo la discussione è stata assai meno ampia di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Sabato scorso circa ottanta colleghi hanno votato secondo uno schema prestabilito che aveva l'obiettivo di occupare tutti e cinque i posti disponibili nel direttivo, escludendone il candidato apertamente proposto da un gruppo numericamente consistente, distribuito uniformemente sul territorio e variegato dal punto di vista culturale. Di questa loro scelta non hanno manifestato le ragioni, nonostante le ripetute sollecitazioni pubbliche.
Come mai questo silenzio? Quali sono i motivi che hanno spinto decine di colleghi a votare secondo un disegno preordinato? Se era per escludere un candidato, quali sono i motivi di questa opposizione?
E se il silenzio e d'oro, come si può convocare i colleghi ad aperti confronti sull'identità disciplinare, a Genova, a Milano o a Bologna?
Cari Colleghi, cari Amici,
convinto che ogni discussione – ancorché animosa e, magari, persino un po’ ‘sopra le righe’ – sia segno di vitalità e perciò stesso positiva, accolgo l’invito a partecipare e provo a dare il mio personale contributo, in aggiunta alla lettera che ho già sottoscritto.
Non voglio entrare nel merito dello scambio di opinioni intercorso fra Ugo Petronio e Antonio Padoa Schioppa. Sin dai tempi del mio dottorato e ancora oggi, in entrambi ho sempre riconosciuto due punti di riferimento e sono abituato a guardare a loro con il rispetto che si deve a chi ha molto insegnato (e continua a insegnare) e a chi ha dedicato (e continua a dedicare) una vita alla nostra disciplina.
Nemmeno però posso tacere – proprio non ci riesco – alcune considerazioni che mi vengono dall’esperienza complessiva vissuta nel corso di questo lungo 2010 che va concludendosi e di cui il convegno modenese – questo, sono sicuro, è chiaro a tutti – non rappresenta che l’ultimo, significativo episodio. Tutti siamo infatti ben consapevoli che in questi anni, in questi mesi, il ruolo della disciplina – unitamente a quello delle facoltà giuridiche e del nostro sistema universitario nel suo complesso – è destinato a subire ulteriori e profonde trasformazioni.
Vengo al punto. La candidatura di Mario Montorzi è nata, non senza discussioni approfondite, quando è stato chiaro che Mario Caravale non intendeva ricandidarsi quale membro del Direttivo della Società. Tra i vari, possibili candidati che potevano riceverne l’eredità – che potevano cioè rappresentare un numero forse minoritario ma, come si è visto, tutt’altro che esiguo di colleghi di varia provenienza intellettuale e geografica – il nome di Montorzi (per la storia scientifica e accademica che gli è propria, ma anche per il suo carattere e per l’energia e la limpida passione che sempre dimostra) è sembrato quello che, proprio in questo particolare momento, meglio potesse contribuire a ‘gettare ponti’ e a facilitare il dialogo piuttosto che inasprirlo. Se non m’inganno, infatti, proprio il dialogo – un dialogo ampio, schietto e, per quanto possibile, informale – era la nota principale e condivisa che aveva caratterizzato positivamente la riunione di settembre alla ‘Bicocca’ (una riunione che, non a caso, aveva registrato un’ampia e qualificata partecipazione e di cui, giustamente, i promotori andavano fieri). Poiché però non è facile – e nemmeno è sempre possibile – fare scelte ed assumere decisioni nell’ambito di riunioni assembleari come era quella di Milano, la Società col suo Direttivo costituiva – così ci sembrava – il luogo più indicato per affrontare i problemi urgenti che la nostra disciplina si trova davanti (i criteri di valutazione dell’attività scientifica, il ruolo dei nostri insegnamenti nelle varie facoltà, l’adeguatezza della nostra offerta didattica di fronte a un pubblico studentesco assai diverso anche rispetto a quello di appena dieci anni fa, solo per fare qualche esempio). In questa prospettiva, con queste motivazioni, la presenza di un rappresentante che portasse la voce e il contributo fattivo di una minoranza significativa era cosa che non avrebbe dovuto spiacere.
Questa premessa dovrebbe chiarire il fatto che molti – ed io tra questi – abbiano letto il voto di Modena come uno schiaffo. Uno schiaffo al dialogo. Uno schiaffo a un confronto sereno sulle cose da fare, appunto per rispondere alle urgenze del momento. Certo, è persino ovvio che nell’ambito di una votazione si delineino una maggioranza e una minoranza, che ci siano degli eletti e dei non eletti (altrimenti non si farebbero le votazioni). Meno ovvio – e invece almeno all’apparenza rivelatore – è però che si prenda all’improvviso e nell’imminenza della votazione una decisione capace di modificare l’ampiezza del corpo elettorale (per inciso: tale ampliamento non mi trova in principio contrario; non mancano tuttavia motivazioni nemmeno alla precedente riserva di voto ai soli strutturati: era appunto un tema che si poteva utilmente dibattere nella riunione di settembre!). Può anche darsi che l’incidenza di tale decisione sul voto di Modena sia di poco momento (in ogni caso, tanto per essere concreti, se avvertito per tempo, io da solo avrei potuto portare almeno tre dottori di ricerca!). Non è però questo che dà fastidio. Quanto spiace è piuttosto l’aver percepito (e la percezione non è dovuta unicamente alla decisione di cui sopra) un sentimento di ostilità nei nostri confronti e come la volontà – una volontà ben determinata – tesa ad escludere con ogni mezzo (eventualmente anche ricorrendo a qualche ‘forzatura’) un candidato non gradito.
Mi sbaglio? Spero proprio di si. Qualcuno – magari fra i miei coetanei – vorrà rispondermi e spiegarmi in che cosa (magari utilizzando il blog appositamente inaugurato: http://sdmmperdiscutere.blogspot.com/).
Un saluto sinceramente cordiale a tutti Voi da
Luca Loschiavo

mercoledì 8 dicembre 2010

Ho sottoscritto il documento circolato come e-mail il 7 dicembre scorso nel quale, insieme ad altri colleghi, si sollevavano una serie di questioni. Avevamo deciso di tralasciare i profili giuridico-formali perché – come abbiamo chiaramente scritto - avremmo voluto aprire una discussione franca e costruttiva su temi sostanziali.

Alla luce di alcuni interventi (circolati sempre per e-mail) credo, a questo punto, che sia necessario tornare sulla questione delle elezioni recentemente svolte al solo scopo di ottenere un minimo di chiarezza.

Lo Statuto della Società all'art. 3 così recita:

“Fanno parte della Società come Soci, su semplice domanda, i professori di ruolo (ordinari, straordinari, associati) e già di ruolo, i professori incaricati e i liberi docenti delle discipline storico-giuridiche contemplate dalle norme vigenti.

- Possono inoltre essere ammessi come Soci, su delibera del Consiglio di Presidenza, studiosi italiani e stranieri che abbiano contribuito al progresso della ricerca storico-giuridica”.

Ho riprodotto per comodità di tutti il testo dello Statuto che è scaricabile, per chi lo desideri, dal sito della Società: http://www.sistordir.it/statuto.php.

Appare pertanto evidente che i professori (comprendendo nella categoria, a scanso di equivoci, anche i ricercatori già a suo tempo ammessi) fanno parte “di diritto” della Società, dovendo esclusivamente adempiere all'obbligo formale della domanda e al pagamento della quota (di cui all'art. 4 dello Statuto).

E' ugualmente evidente che nello Statuto non si fa parola alcuna di figure assimilabili ai dottori di ricerca, tanto è vero che Antonio Padoa Schioppa, nella sua e-mai circolata la mattina del 7 dicembre, fa riferimento ad una delibera appositamente assunta, per ammetterli nella Società.

Per comodità di tutti riproduco il testo della e-mail del Presidente uscente Antonio Padoa Schioppa:

“Preciso anzitutto che l'estensione del voto deliberata, a termini di statuto, dal Consiglio direttivo e comunicata pubblicamente la mattina del 4 dicembre riguardava, oltre ai ricercatori già in precedenza ammessi, soltanto i dottori di ricerca, non i dottorandi né i cultori della materia. Ignoro quanti abbiamo effettivamente votato. Ovviamente, sempre a termini di statuto, non si poteva essere portatori di più di una delega”.

Lo stesso Padoa Schioppa, sempre nella giornata del 7 dicembre, in risposta alle osservazioni di Ugo Petronio, reiterava le sue affermazioni comunicando per e-mail che:

“le votazioni del 4 dicembre - che per delibera del Consiglio direttivo, come vuole lo statuto, hanno esteso ai dottori di ricerca (non ai dottorandi né ai semplici cultori della materia) le prerogative attribuite dallo statuto ai liberi docenti - sono state perfettamente regolari, come possiamo dimostrare in ogni sede”.

Queste affermazioni, alla luce del testo statutario, sollecitano alcune domande:

1) Per adottare la delibera è stato formalmente convocato il Consiglio di Presidenza?

2) E se sì: in che data lo stesso si è riunito?

3) Chi erano i Consiglieri presenti?

4) E' stata una delibera votata all'unanimità o a maggioranza?

5) Qualora tutto questo sia avvenuto - e vorrei una risposta in tal senso in ossequio alla trasparenza dei procedimenti amministrativi nei confronti del singolo Socio, giusto per avere un minimo di “certezza” se non “del diritto”, almeno della buona prassi amministrativa - i colleghi del Consiglio di Presidenza, che hanno votato a favore, hanno valutato che l'ammissione generalizzata dei dottori di ricerca appare, comunque, come una discutibilissima applicazione dell'art. 3 cpv., nella parte in cui si consente l'ammissione di nuovi Soci (che non siano o non siano già stati docenti) purché siano studiosi che abbiano contribuito al progresso della ricerca storico-giuridica?

6) In esito a questa deliberazione tutti i dottori di ricerca diventano, “de iure”, “studiosi... che hanno contribuito al progresso della ricerca storico-giuridica”. Sarà senz'altro così: immagino, infatti, che moltissimi dei nostri dottori di ricerca abbiano già contribuito al progresso della scienza storico-giuridica, pubblicando solidissimi contributi scientifici. Ma domando ai colleghi membri del Consiglio: ma tutti, proprio tutti indistintamente i dottori di ricerca, sono in questa lodevolissima condizione?

7) Inoltre: si è valutato che, mentre i “docenti” fanno parte di diritto della Società, pur essendo comunque tenuti a “presentare domanda”, i dottori di ricerca, a seguito di questa deliberazione, lo diventano “de iure” senza l’obbligo di presentare richiesta alcuna?

8) I componenti del Consiglio di Presidenza che hanno adottato questa delibera hanno percepito il fatto che in tal modo si è proceduto ad una surrettizia variazione dello Statuto, perché in tal maniera si è inserita fra gli ammissibili una intera categoria di studiosi: “i dottori di ricerca”? Non sarebbe stato più corretto procedere ai sensi dell'art. 18 che regola, appunto, le modifiche di Statuto coinvolgendo, come previsto, l'Assemblea, che in decisioni di questo genere è sovrana?

9) Come mai la comunicazione circa l'adozione di una delibera di tale importanza è stata data, comunque, nell'imminenza delle elezioni (poco prima di procedere con le operazioni di voto) e non a tempo debito, per consentire a tutti i dottori di ricerca di essere presenti?

10) E se non ci fossero stati i tempi tecnici (provo ad indovinare: la delibera è stata assunta proprio il 4 dicembre?) non è sembrato inopportuno, al Presidente uscente e agli altri eventuali membri del Consiglio di Presidenza con lui concordi, ammettere solo i “dottori” che erano casualmente presenti, negando così contestualmente agli ignari assenti l'esercizio del loro diritto-dovere di voto?

Una risposta in questa “sede”, quella pubblica, alle 10 domande sopra elencate, credo sia necessaria.

Dopo di che, avendo definitivamente fatto chiarezza sugli accadimenti elettorali del 4 dicembre, si potrà, aprire il dibattito (che anch'io auspico sereno e pacato) sulla revisione dello Statuto (seguendo, com’è ovvio, la procedura dallo stesso prevista) sia in relazione all’ammissione dei Soci (dico subito che sono favorevole all'ammissione di soggetti diversi dai docenti "strutturati", perché ho sempre pensato che si è studiosi per vocazione e non per “status” acquisito in eterno), sia con riferimento alle procedure elettorali da seguire, nonché sulle ben più importanti questioni che come studiosi di Storia del diritto medievale e moderno dovremo affrontare nel prossimo futuro.

Vi ringrazio per l’attenzione

Giovanni Minnucci

martedì 7 dicembre 2010

Messaggio di Aldo Mazzacane

Cari Colleghi,

apprendo di un certo disagio avvertito da numerosi partecipanti all’assemblea della Società italiana di storia del diritto, tenutasi a Modena il 4 dicembre. Mi pare che i punti critici emersi siano sostanzialmente due (ulteriori dettagli, che risultano dai carteggi delle ultime ore, possono essere fondati, ma andranno discussi più pacatamente). Il primo è l’immediata ammissione al voto di soci iscritti subito prima, in base ad un allargamento dei criteri di ammissione, anch’esso deciso contestualmente. Il secondo è costituito dal sistema delle preferenze finora previsto. Intendiamoci. È bene che la Società, in quanto associazione culturale e scientifica, abbandoni il vecchio impianto puramente accademico, secondo il quale riuniva solo soci provenienti dalle “fasce” universitarie di ruolo. Ritengo, come tutti voi, che essa debba essere aperta a qualsiasi studioso il quale coltivi i nostri studi. L’ammissione dovrebbe essere subordinata soltanto alla presentazione di una domanda motivata, valutata dal consiglio direttivo.

Per quanto riguarda il problema di rappresentanza, posto in luce dall’assemblea di Modena, mi pare giusto osservare che la facoltà attribuita ai votanti di esprimere quattro preferenze ponga a rischio la possibilità di rispecchiare nella composizione del direttivo i vari orientamenti scientifici (un candidato che ha ottenuto 43 voti – se non sbaglio, oltre un terzo dell’elettorato – non ne farà parte).

Il modo più semplice di affrontare i due problemi è forse quello di porre all’o.d.g. della prima riunione del consiglio neoeletto sia i criteri di iscrizione, sia quelli di votazione, giungendo a limitare, io credo, il numero delle preferenze da esprimere.

La ricerca storica sul diritto medievale e moderno ha bisogno di confronti e dialoghi sereni e liberi e di cooperazione fra tendenze legittimamente diverse e del tutto disinteressate. Non ha bisogno di divisioni artificiose, che non si giustificano in alcun modo.


Aldo Mazzacane

Sulla riunione di Modena

Lo scorso sabato 4 dicembre la Società di Storia del Diritto ha eletto il suo Consiglio Direttivo. Come sapete, sono risultati eletti 5 colleghi con un numero di voti che oscilla fra 65 e 71, mentre il collega Mario Montorzi, che è risultato escluso, ha raggiunto 43 voti. La votazione è stata in parte influenzata dalla decisione, rapidamente assunta, di ammettere nella Società e quindi al voto anche dottorandi, dottori di ricerca e assegnisti. Di questa decisione si potrebbe discutere la regolarità formale e l’opportunità sostanziale, ma non riteniamo che sia producente porre in questo momento questioni di procedure.

Il problema che intendiamo sottoporre all’attenzione di tutti è infatti sostanziale. E’ un problema di rappresentanza di tutti i membri della Società nel suo consiglio direttivo. Al momento attuale, infatti, 43 storici del diritto medievale e moderno, tutti in servizio o già in servizio nei ruoli dei docenti delle Università italiane, non sono rappresentati negli organi della loro società. Una maggioranza costituita da circa 85 votanti (tra i quali figurano un numero significativo di dottorandi, dottori e assegnisti) ha completamente privato di rappresentanza un terzo dei votanti.

Questo fatto è dovuto a due ragioni.

La prima è che il sistema di elezione, che prevede l’indicazione di ben quattro nomi sulla scheda, permette ad una maggioranza anche non ampia di escludere completamente i candidati votati da una minoranza. Una maggioranza che organizzi i propri voti per non disperderli può imporre l’intero consiglio anche ove si trovi in rapporto di 5/4 nei confronti di una minoranza che, pur costituendo quasi la metà dei votanti, non sarebbe in grado di eleggere neanche un proprio rappresentante.

La seconda ragione, che è purtroppo più grave della prima, è che abbiamo assistito ad una votazione organizzata dettagliatamente per azionare il meccanismo di esclusione consentito dalla regola elettorale, allo scopo di escludere il candidato che una quota consistente di colleghi aveva indicato: alla fine, dietro la graduatoria formale dei colleghi votati si è sentito anche il sapore di un voto “contro” un candidato e non solo “per” uno o più candidati. Si tratta di un atto che consideriamo grave, perché tende coscientemente a dividere in due la Società, e di conseguenza a compromettere la stessa ragion d’essere dell’associazione che dovrebbe riunire in un solo organismo tutti i cultori delle nostre materie.

Riteniamo che la politica prescelta da chi ha perseguito questo esito sia un errore. La Storia del Diritto Medievale e Moderno non ha bisogno di divisioni, e tanto meno di emarginazioni: al contrario, deve aprire un confronto leale e aperto in cui tutti abbiano voce e importanza.

Per questi motivi, chiediamo che il primo punto all’ordine del giorno del nuovo consiglio sia la riforma del sistema elettorale della nostra Società. Nella attuale situazione, infatti, l’indicazione di quattro preferenze sulla scheda non ha senso. Per evitare i meccanismi perversi che si sono descritti, e per impedire le manovre che purtroppo in questo caso si sono realizzate, è necessario assegnare a ciascun votante una sola preferenza, perché i cinque eletti rappresentino gli orientamenti reali dell’elettorato.

Ci rivolgiamo al Consiglio Direttivo che – nonostante l’incongruenza del sistema elettorale vigente – ha il dovere di rappresentare l’intero corpo della Società, perché accolga questa istanza, dimostrando sensibilità nei confronti di un numero molto consistente di colleghi ordinari, associati e ricercatori. Colleghi che, come i firmatari di questa lettera, ritengono che un segnale di apertura da parte del Consiglio sia condizione essenziale della propria partecipazione alla attività della Società e al dibattito interno alla disciplina in questo delicato momento di cambiamento.

Italo Birocchi, Emanuele Conte, Andrea Errera, Luca Loschiavo, Giovanni Minnucci, Beatrice Pasciuta, Diego Quaglioni